mercoledì 30 dicembre 2015

Bentornato TRAM: Palermo inaugura la nuova rete tranviaria

Palermo 1921 - Tram Linea C in via Roma
Ebbene si! Dopo oltre ben quaranta anni dalla chiusura della storica rete tranviaria palermitana, dopo tutto questo tempo a scavare e costruire chilometri e chilometri di rotaie in tutta Palermo, dopo aver causato ostruzioni alla viabilità, odiate interruzioni stradali, deviazioni continue ed anche chilometri di code, finalmente oggi, in data mercoledì 30 dicembre ore 12:00, partirà dalla STAZIONE NOTARBARTOLO la prima corsa del tanto atteso TRAM.

Una soluzione alternativa che promette di "alleggerire" Palermo dallo smog, consentendo ai cittadini di muoversi più rapidamente lasciando le tanto utilizzate automobili in garage e favorendo chi senza un proprio mezzo, ha necessità di spostarsi rapidamente.

Il progetto del sistema tranviario nacque negli anni '90 e nella campagna elettorale del 1997 fu uno dei temi maggiormente discussi e successivamente concretizzato in primi piccoli passi nel 2000, quando l'Amministrazione guidata da Leoluca Orlando ottenne un primo stanziamento di 161 miliardi di lire da parte della Banca Europea per gli investimenti.

Foto dal Web
Il costo complessivo dell'opera è stato di 322 milioni di euro, di cui soltanto 87 a carico della città di Palermo, tramite un mutuo con la Cassa Depositi e Prestiti, e il resto a carico dell'Unione Europea e dello Stato. Il RUP è stato l'ingegnere Marco Pellerito dell'AMAT.
Il proggetto dispone di 17 vetture Bombardier con capacità di trasporto fino a 56 passeggeri seduti e 132 passeggeri in piedi. Prevede anche la costruzione di quattro differenti linee per un totale di 17 chilometri, con lo scopo di collegare le maggiori zone periferiche al centro città, al passante ferroviario ed al sistema ferroviario metropolitano.

Di seguito troverete le fermate previste:

Linea 1

Roccella/Forum Palermo - interscambio con passante ferroviario
Laudicina
Di Vittorio
Reber
XXVII Maggio
Bacile
Sperone
Bione
Amedeo d'Aosta
Missori
San Giovanni dei Lebbrosi
Ponte dell'Ammiraglio
Ponte tranviario sul Fiume Oreto
Tiro a segno
Ingrassia
Randazzo
Stazione di Palermo Centrale - interscambio con passante ferroviario

Linea 2

Largo Piazza Armerina/S. Paolo
S. Cristina
Modica
Deposito
Michelangelo/Castellana
Campo Ribolla
Casalini
Beato Angelico
Uditore
Einstein
viadotto Einstein
Galilei/Pacinotti
Respighi
Stazione Notarbartolo - interscambio con passante ferroviario

Linea 3

Stazione Notarbartolo - interscambio con passante ferroviario
Respighi
Galilei Pacinotti
Einstein
viadotto Einstein
Uditore
Beato Angelico
Casalini
Campo Ribolla
Michelangelo Castellana
Michelangelo/U.R. 10
Centorbe
Terminal CEP

Linea 4

Stazione Notarbartolo - interscambio con passante ferroviario
Respighi
Galilei Pacinotti
Einstein
viadotto Einstein
Platen
Settembrini
Perpigniano Est
EMIRI EST
Portello
Vignicella Est
Pagano
Calatafimi Pollaci
Vignicella Ovest
Giuseppe Pitrè
EMIRI OVEST
Perpignano Ovest
Regione Siciliana Uditore
Regione Siciliana
viadotto Einstein

venerdì 13 novembre 2015

Riscoprendo i cavalli di Persano

Carlo di Borbone su esemplare Persano
Fu il giorno in cui un provvedimento ministeriale decise di troncare la Storia: il 30 settembre 1972. I cancelli del Centro di Allevamento e Rifornimento Quadrupedi di Persano si aprirono per lasciar andare via per sempre 246 esemplari della «Real Razza»: l’imperioso cavallo dall’elegante profilo voluto nel XVIII secolo dal Re Carlo di Borbone.

Lì collocato e lasciato in eredità ai ministri dell’Unità d’Italia. Fino a quando, appunto, a Roma si decise che la razza del cavallo di Persano non poteva più rimanere nel luogo dov’era nata. In una nota del 1971, il ministro della Difesa Mario Tanassi fa sapere all’onorevole Fiorentino Sullo, interessatosi della vicenda, che è necessario «riordinare il Servizio in maniera più funzionale ed economica». E così puledri, fattrici e stalloni furono caricati e portati al Centro di Grosseto. A nulla valsero le perplessità dei butteri che ipotizzavano «l’estinzione della razza che mal avrebbe sopportato il clima della Maremma Toscana». Andarono via i cavalli e poco dopo arrivarono i mezzi blindati. Si girava pagina.

Oggi a Persano si è costituita un’associazione culturale con 150 soci. Si chiama «Persano nel Cuore». Ne è presidente Antonino Gallotta, storico, originario di Persano con un padre «capo razza» e una sfilza d’antenati che per anni hanno occupato i registri del personale. Dopo studi e pubblicazioni, Gallotta ha lanciato la proposta di riprendere il filo spezzato nel 1972 e ricongiungerlo al progetto di un ritorno del borbonico cavallo lungo le sponde del Sele. Tra i sostenitori dell’idea c’è anche il principe Alduino Ventimiglia Lascaris di Monteforte, nobile siciliano, che negli ultimi trent’anni si è battuto affinché la razza non andasse perduta. Aveva solo dieci anni quando a Catania incontrò il primo cavallo Persano. Si chiamava Ulesto. Fu allora che impresse nella sua mente «l’occhio che racchiude la cultura del Sud», poi ritrovato quando, giovane di leva, fu spedito al Centro Allevamento di Grosseto. Erano gli anni ’80.

Principe Alduino Ventimiglia Lascaris di Monteforte

Ventimiglia, laureando in Agraria, si accorse che «si stava perdendo la razza Persano per i continui incroci con i p.s.i. cioè i purosangue inglesi ». C’era però una carta da giocare: ottenere uno stallone nato a Persano e vissuto a Catania chiamato Pascià. «Era l’ultima possibilità », racconta Ventimiglia, «fu messo all'asta e riuscii a portarlo via». Grazie a Pascià e alle fattrici riformate precedentemente acquistate, nascono 3 puledri. Uno conquista lo status di stallone. Ventimiglia vede arrivare il riconoscimento civile della razza, sulla Gazzetta Ufficiale, solo nel 2003. Il primo certificato nel novembre 2008. Oggi il principe possiede circa 70 esemplari della Real Razza di Persano nelle sue tenute in Sicilia e Toscana.

Ma perché questo pregevole cavallo di perfetto equilibrio mentale porta il nome di questa località? Bisogna tornare alla metà del Settecento e alla figura di Carlo di Borbone, poi Carlo III in Spagna, che un bel giorno s’innamora della tenuta di Persano e la trasforma presto in Sito Reale, dove la corte borbonica si ritira per le battute di caccia. Il re fece costruire dall’ingegnere Juan Domingo Piana la Casina reale, successivamente ritoccata dal Vanvitelli: un edificio quadrangolare, con una cappella dedicata alla Madonna delle Grazie arricchita di quadri della scuola di Posillipo. Quando, dopo la firma del Trattato di Pace e di Commercio con l’Impero Ottomano, ricevette dall’ambasciatore turco El Haji Hussein Effendi, in visita a Napoli, 4 stalloni orientali, re Carlo pensò d’incrociarli con esemplari locali di derivazione orientale. Era il 1741. «La razza però», dice Ventimiglia, «si fissò intorno al 1770 con l’introduzione di cavalli berberi spagnoli». Il re disboscò e costruì alloggi e scuderie: fu così che Persano, insieme a Carditello in provincia di Caserta e a Ficuzza in Sicilia, divenne centro d’allevamento del cavallo elegante e snello, orgoglio borbonico, impresso nelle tele oggi custodite nel Museo di Capodimonte. Fino al 1860, quando dopo la sconfitta militare dei Borbone la gestione passò al Ministero della Guerra. Nel 1874, però, un decreto del ministro Ricotti stabilì la soppressione della razza. Tutti i cavalli furono venduti. La svolta si ha il 14 novembre 1900, quando il governo decreta la «ricostruzione della razza».

Persano nel ’900 è il fulcro economico del territorio: vi convergono maestranze locali, giumentari, butteri, domatori, sellai. La struttura militare si avvale infatti anche di manodopera civile. Nel villaggio, su circa 3500 ettari, vivono 200 famiglie. Una realtà agricola che ruota intorno al cavallo e che dà lavoro a centinaia di persone provenienti anche dai comuni vicini: Altavilla Silentina, Eboli, Serre.

Si lavora nel grande capannone dell’Umberto I, nel complesso degli Angelini, luogo di quarantena per i puledri, nella scuderia delle carrozze, nell’alloggiamento Mena Nova, nel maneggio Solferino, nell’area dello Scanno dove nella stagione di monta venivano condotti anche gli stalloni del deposito di Santa Maria Capua Vetere. Nel libro "Persano, viaggio della memoria tra butteri e cavalli", Antonino Gallotta cita anche la famosa transumanza del giugno 1952, quando tutti i cavalli affrontarono 110 km per raggiungere l’altopiano di Mandrano dopo una sosta nei pressi della Certosa di Padula.

Poi, di colpo, lo sradicamento e il viaggio verso Grosseto. Nei giorni scorsi, al Country Club di Persano, si è tenuto un incontro su «Cavallo Persano, ritorno alle origini». «Vogliamo che questo territorio», dice il presidente Antonio Miniaci, «riacquisti il bagaglio culturale legato ai cavalli» . Al dibattito hanno partecipato anche Antonio Canu, direttore delle Oasi del WWF e lo storico Gallotta. «Abbiamo dato la nostra disponibilità», dice Canu, «a partecipare a un programma che recuperi un patrimonio importante e straordinario del territorio. Del resto l’Oasi è parte del territorio storico che ha ospitato questo animale. Quando parliamo di biodiversità intendiamo anche quella genetica e in questo caso di una razza tra l’altro a rischio di estinzione ». Quali sono le condizioni perché questa razza ritorni a Persano? «Serve una struttura minima di accoglienza», dice Ventimiglia, «e uomini specializzati nella cura del cavallo di Persano». Di qui l’idea di istituire dei corsi per i giovani. Non ultimo e non meno importante, «un sostegno economico delle istituzioni ».

(fonte Corriere del Mezzogiorno articolo di Stefania Marino)

venerdì 6 novembre 2015

Un pensiero a chi nel cuore ha ancor viva la speranza.



Lo dedico a Voi, amici miei, a voi che siete andati via, a voi che da Londra, da Berlino, dal Canada e dalla nuova terra, cervelli in fuga, col cuore in mano, state ancora a sperare.

In questi momenti di scoramento, di povertà, di rassegnazione, di abbandono, di pessimismo, di illusione, di futuro rubato, di corruzione, di irresponsabilità, di appartenenza, di ombre, c’è certamente una forte sensazione di impotenza ed una grande voglia di andare e non tornare più.

Numerosi lo hanno già fatto, come gli anni ‘60, giovani e meritevoli speranze di questo vecchio Paese sempre più barbaro, coscienze libere e senza alcuna piega, via, lontane da questa Nazione.

Il “male” avanza in silenzio, ha preso il controllo, si è incuneato fin dentro le insenature più profonde della Democrazia, difficile sconfiggerlo, non c’è stata la capacità di capire, di mettersi insieme, di sopraffarlo, di comprenderne i movimenti, cosa stesse accadendo, di prendersi quello che di diritto e per meritocrazia spettava, si è vissuto di rendita ed illusione per anni, disinteressandosi, edulcorati, mentre veniva creata e cresciuta la flessibilità, il precariato, la loro giusta causa, la solitudine.

Il futuro è lontano. Si vive l’immediato giornaliero, il triste contingente. Le regole, la quasi normalità, hanno ceduto il posto allo straordinario, all’emergenza, all’eccezionale, alle rivoluzioni. Proclami che si susseguono oramai da tempo, doveri ed etica sempre richiesti/pretesi per i tanti, sempre più privi e poveri, mentre le eccezioni, le prebende, i titoli, le umane attenzioni, il lavoro, le innumerevoli ricchezze ed occasioni ai pochi, su.

Ed una classe media che viene spogliata e distrutta, fino a diventare povera. Venendo meno, come drastica conseguenza, quel collante sociale caratteristico di una Italia che in parte funzionava, che solidarizzava, che si aiutava nelle mille difficoltà.

Nell’ultimo ventennio qualcosa ha distrutto l’efficacia delle lotte e delle tante conquiste, raggiunte anche con il sacrifico della vita, tanti oramai i sottomessi alle libertà di pochi, qualcosa di sottile ha ridimensionato la possibilità di emergere ed ergersi di un’intera classe e di raggiungere posizioni superiori, annullandola, e persino forse rendendo inutili le emigrazione ed i martiri dei nostri cari.

E’ anche per loro, per quello che avevamo e ci siamo fatti togliere, per le lotte e le conquiste decennali, per la storia, per le nostre radici, per quel futuro che non si vede, per quella luce lontana, che forse un giorno sarà necessario il “ritorno", “la verità”, "la liberazione” di questa Terra.

E’ quindi maggiormente necessario avere fiducia, non cedere alla rassegnazione, sconfiggere l’indifferenza, scendere tra la gente, ridare la speranza, distrarre le masse dal male, senza farsi tirare dentro, scacciando la deriva del nulla, spogliarsi dell’effimero e dell’inutile “non serve a nulla”, dei freni celati e degli "ormai è tardi".

Obbligo morale è "lottare dritto", preservare, far conoscere, e ricordare, è maggiormente necessario essere ottimisti, creare collettivo e relazione, uscire dal network sociale, continuare a sognare lungo la linea dell’assurdo, cercare, moltiplicandoci, di abbattere la sicurezza e la stabilità dei pochi, ridistribuire, liberare, sciogliere, rendere liquida a nostro modo la società, e mandar via lo scoramento.



martedì 3 novembre 2015

TERRA A MORIRE

Il cemento, le frane, le inondazioni, le piogge, la modernità, le lobby, la morte in ogni famiglia...


Ti guardi attorno e capisci che c'è qualcosa che non va. Il cemento ovunque, costruzioni senza crisma, che prevaricano l'altro, le regole della convivenza, quelle basilari della Natura, annientate. Colate e colate di materiale che, con le piogge, diventano fiumi. Cedimenti improvvisi, strutturali, il territorio che va lentamente giù. L'aria sempre più irrespirabile, le acque più inquinate, il cielo pieno di aeroplani che lasciano disegni inspiegabili. I terreni abbandonati e ridotti a discariche della malavita, quella nuova dei colletti bianchi, e nessun polmone sano nelle nostre città.


Strade e piloni che cedono, le trazzere improvvise che tornano di moda, i collegamenti che non esistono, allarmi meteo che gettano in una psicosi collettiva tutta la popolazione.


Nessun rispetto per il creato, come diceva S. Francesco, un aumento inaccettabile di malattie. Ogni famiglia che presenta un malato di cancro, o lo ha avuto, e a morire in maniera fulminea, anche persone giovani. Si resta senza parole, silenziosi, impotenti. E non c'è bisogno di dati, o della confusione di alcuni che tendono a deviare, per accorgersene.


E non è certamente la carne rossa, non sono gli insaccati, i lavorati, ma una produzione prettamente industriale senza freni, gonfiata a dismisura, senza amore e solo devota al profitto, le grandi lobby a dettare legge e a trasformare tutto in mercato e finanza. 

L’avidità di denaro controlla l’intero sistema socio economico e rovina la società, condanna l’uomo, lo fa diventare schiavo, distrugge la fraternità interumana e spinge popolo contro popolo e minaccia anche questa nostra “casa comune”. 


“E’ un male strutturato - come ha detto Papa Francesco - , il potere è talmente forte subdolo che ci fa perdere anche la sensibilità, che ti fa credere che questa sia la legge che determina tutto, che non ci sia possibilità di cambiamento. I frutti della cupidigia, della struttura di peccato è che portano il contrario della fraternità tra gli uomini, della convivenza civile tra gli uomini e distruggono tutto questo e portano alla globalizzazione dell’indifferenza”.


Nessuna manutenzione, né ordinaria né straordinaria, tutti succubi, la vita che va spegnendosi, gli alberi divelti, come in Puglia, per mere ipotesi di contaminazioni, curabili secondo diversi studiosi, stermini secolari, e la terra, che sempre ci ha dato benessere, amore, ricchezza, sepolta dalle menzogne e dalla cosiddetta modernità.

Si possono tagliare gli alberi, cementificare continuamente, ridurre il suolo, avvelenare i terreni di rifiuti, eternit, scorie, trivellare il mare, avvelenarlo di fogna, uccidere i pesci, fare fuori gli animali, fino a che un giorno la Natura ci presenterà il conto.

Cari Giovani amate la terra, disobbedite, rirtonate alla vita, cari vecchi lasciate che siano loro a prendersi il futuro di questo pianeta e che si ritorni ai valori e ai principi di convivenza pacifica e ai valori di Umanità. Smettano le armi, smettano le guerre, smetta il Demonio a comandare!


mercoledì 23 settembre 2015

«Ha rubato un melone», gli sparano alle spalle.

 Foggia. Vittima un bracciante del Burkina Faso. Un altro è ferito grave. A sparare il titolare di un terreno a Lucera e suo figlio. La comunità africana: 

«Non volevano rubare, ma chiedere lavoro.»



Un dramma della povertà in una zona diven­tata da diversi anni una spe­cie di moderno Far West. A per­dere la vita un brac­ciante di 37 anni ori­gi­na­rio del Bur­kina Faso, Sare Mamou­dou, cen­trato alla schiena dal fucile imbrac­ciato da Fer­di­nando Pia­cente, 67enne pro­prie­ta­rio del ter­reno agri­colo in cui Sare, insieme ad altri due brac­cianti afri­cani si era intro­dotto nella gior­nata di lunedì.

Siamo in con­trada Vac­ca­rella, nelle cam­pa­gne tra Fog­gia e Lucera. L’intento dei tre non è chiaro: secondo le rico­stru­zioni uffi­ciali pare voles­sero rubare un po’ di frutta, qual­che melone, che per i brac­cianti del Gar­gano è l’unico ali­mento di una risi­bile dieta medi­ter­ra­nea, per chi come loro gua­da­gna pochi euro al giorno, quando c’è lavoro.

Qual­cosa però non va secondo i piani: i cani della tenuta dei Pia­cente abbiano, aller­tando padre, e figlio, Raf­faele di 27 anni, che escono dalla loro abi­ta­zione imbrac­ciando i fucili, rego­lar­mente detenuti.

Non spa­rano subito, anche per­ché i tre brac­cianti sono molto vicini a loro: urlano, inti­mano a Sare e i suoi col­le­ghi di andar­sene, avvi­ci­nan­dosi. Ne sarebbe venuta fuori una col­lut­ta­zione vio­lenta: tra chi per soprav­vi­vere è dispo­sto anche a rischiare la vita e chi, per difen­dere il pro­prio orto, è dispo­sto anche ad andare in galera, ad ucci­dere. Ad avere la peg­gio è il 27enne Raf­faele, che viene col­pito al naso. E’ forse que­sto il motivo che fa scat­tare nel padre l’eccesso di vio­lenza: spara un paio di colpi in aria, sotto forma di avver­ti­mento. Sare e i suoi due amici scap­pano verso la loro Fiat Uno e pro­vano la fuga.

Ma i Pia­cente non hanno inten­zione di desi­stere e par­tono all’inseguimento dei tre. Un altro colpo di fucile, dopo pochi chi­lo­me­tri, fora una delle ruote della Fiat Uno che fini­sce fuori strada e costringe i tre brac­cianti alla fuga a piedi. Non con­tento del «risul­tato» otte­nuto, Fer­di­nando Pia­cente prende la mira e spara tre colpi: due feri­scono mor­tal­mente alla schiena e ad un brac­cio Sare, men­tre un terzo coglie in pieno petto Kadago Adam che resta a terra.

L’ultimo dei tre, di cui ancora non si cono­scono le gene­ra­lità, rie­sce a fug­gire nei campi sal­van­dosi la vita.

Sol­tanto in quel momento i Pia­cente riac­qui­stano un minimo di luci­dità e si riti­rano nella loro abi­ta­zione in stato di choc, come li ritro­ve­ranno sol­tanto poche ore dopo i Cara­bi­nieri del comando pro­vin­ciale di Lucera, affian­cati dai col­le­ghi di Foggia.

Il terzo brac­ciante, scam­pato il peri­colo, torna indie­tro da Kadago Adam che è a terra, ma ancora vivo: allerta il 118 che lo tra­spor­terà agli ospe­dali Riu­niti di Fog­gia dove viene rico­ve­rato in pro­gnosi riser­vata, ma non in peri­colo di vita.

Gra­zie alla rico­stru­zione for­nita dal soprav­vis­suto, i Cara­bi­nieri risa­li­ranno ai Pia­cente che saranno arre­stati in piena notte con le accuse di con­corso in omi­ci­dio volon­ta­rio e con­corso in ten­tato omi­ci­dio volon­ta­rio e porto ille­gale di armi. Il fucile infatti, pur dete­nuto legal­mente, è stato por­tato fuori dall’abitazione. Il magi­strato ha inol­tre dispo­sto l’autopsia sul corpo di Sare.
Fin qui la rico­stru­zione «uffi­ciale» dei fatti.

Per­ché da quanto abbiamo appreso le cose non sta­reb­bero esat­ta­mente così.

Nella serata di ieri, al ghetto di Rignano Gar­ga­nico, si è svolta un’assemblea della comu­nità del Bur­kina Faso. Dalla quale sarebbe emersa un’altra ver­sione: secondo la quale i tre non sareb­bero andati nel podere dei Pia­cente per rubare, ma per cer­care lavoro. Ed inol­tre i fatti si sareb­bero svolti di pome­rig­gio e non di sera. Aspetti sui quali inqui­renti e sin­da­cati hanno inten­zione di inda­gare a fondo.

Ciò nono­stante, è indub­bio che la pro­vin­cia di Fog­gia sia diven­tata una spe­cie di Far West moderno. Un feno­meno che dura da anni, non certo da oggi, ma fa spe­cie la con­ti­nuità di certi avve­ni­menti così rav­vi­ci­nati nel tempo.

Lo scorso 26 ago­sto scorso a Troia, in pro­vin­cia di Fog­gia, un agri­col­tore di 52 anni aveva ucciso un 67enne ita­liano che stava rubando nel suo podere. Il fatto accadde in un fondo agri­colo in loca­lità «Case Rotte» in agro di Troia, lungo la strada pro­vin­ciale che col­lega la città del Rosone a Faeto, sui Monti Dauni. A spa­rare fu Michele Mar­chese, di Castel­luc­cio Val­mag­giore, denun­ciato per omi­ci­dio col­poso. La vit­tima, Anto­nio Diciomma, 67enne di Ceri­gnola, aveva pic­coli pre­ce­denti per reati con­tro il patri­mo­nio, venne rag­giunto da una fuci­lata alla schiena: insieme a lui — secondo i mili­tari — vi erano altre per­sone, fug­gite nei campi dell’azienda avicola.

Poi, lo scorso 14 set­tem­bre a Fog­gia, fu ferito in un agguato il pre­giu­di­cato Mario Pisco­pia scam­pato alla morte per mira­colo. E sol­tanto dome­nica scorsa un uomo di 45 anni di San Severo, sem­pre in pro­vin­cia di Fog­gia, è stato ucciso con un colpo di arma da fuoco, al ter­mine di un litigio.

Se non è Far West que­sto, poco ci manca.


FONTE

http://ilmanifesto.info/

venerdì 18 settembre 2015

L'ipocrisia, la tragedia, “le quote” del fallimento!



L'ipocrisia, la tragedia, “le quote” del fallimento! 
avevo fame e voi mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato dell’acqua, ero straniero e mi avete ospitato nella vostra casa, ero nudo e mi avete dato dei vestiti...

In passato avevo sentito usare la parola “quote”, mi ricordo che l'Unione Europea la utilizzò per limitare la produzione di latte, dando multe a quegli stati che non rientrassero in quei canoni, appunto le cosiddette “quote latte”. Me ne parlò, per la precisione, la mia amica mucca, che dopo essere stata munta per anni giornalmente si ritrovò abbandonata dal suo padrone.


Adesso tale espressione viene utilizzata per dei poveri umani. Per i diversi uomini e le donne ed i bambini che scappano dalle proprie case, a causa delle varie guerre tra fazioni diverse, istigate dai Paesi stranieri che fomentano l'uno o l'altro Stato, e fanno lucro vendendo sulla loro pelle le armi.

C'è una terribile tragedia, neppure tra gli animali si trovano tali e tante bestie, neppure nella natura più selvaggia. E l'OCCIDENTE delle Democrazie esportate alza muri, mette filo spinato, i suoi soldati a manganellare persino i bambini inermi ed indifesi.


Persone che attraversano a piedi intere Nazioni, il mare nostrum in tempesta in catapecchie di fortuna e molti non ce la fanno, che hanno subito continue violenze, visto la morte più volte, e giunti lì, proprio lì, nella culla del diritto e della civiltà, subiscono ogni tipo di violenza e privazione.


C'è davvero tanto marcio e letame in giro, c'è davvero tanta gente meschina che strumentalizza la questione e che dice, anzi che urla per non far comprendere nulla, che questi uomini, donne e bambini chiedono i cellulari ultima moda o prendono soldi, che sono tutti delinquenti... e che sulla loro pelle costruiscono vili carriere.


Quella Europa me la ricordo, lo spirito di chi la volle fondare, cambiata però nel tempo, che nel suo Statuto recitava l'Europa dei Popoli e delle Culture, mentre adesso annuncia il suo fallimento, le quote di persone, numeri, come se fossero fieno da dividere tra gli animali.


Uno Stato che respinge questa povera gente, che ordina le manganellate come risposta, che alza muri, che mette persino i carcerati a respingerli, deve essere immediatamente espulso dall'Europa. Perché se no questa non ha più motivo di esistere. Anche loro hanno dimenticato la Storia, nomn vi è memoria di cosa sia un uomo, come scrisse Primo Levi, cosa siano stati i deportati ed i sei milioni di morti.


La nostra torni ad essere una “casa comune”, insieme si può ripartire, perché “respingere i migranti che arrivano dal mare è guerra, violenza, uccidere “ (Papa Francesco). Solo lì, in quell'isola piccola del mediterraneo con bandiera Italiana, in mezzo al mare, c'è stata probabilmente accoglienza vera, un grande sforzo di Umanità, le nostre incredibili organizzazioni umanitarie, solo lì è rimasto quello spirito delle culture e dei popoli che può davvero risollevare l'Europa.

giovedì 17 settembre 2015

I Buoni, i Cattivi e... “il fumo dell'antimafia”


I Buoni, i Cattivi e... “il fumo dell'antimafia”


                                Discorsi tra Ecomulo e l'amico Bue   


Oggi ho incontrato un bue, un amico erudito, ne sa sempre una più del diavolo, che non vedevo da tempo. Mi ha parlato di cose incredibili successe in questi giorni tra gli uomini.

BUE: Ciao Ecomulo, ti vedo in forma, volevo condividere con te una riflessione. Sai, ci sono “i cattivi” e poi ci sono “i buoni”, poi a un certo punto non si comprende più nulla... chi siano gli uni e chi siano gli altri. Ieri sono stato in città, a Palermo. Qui, ultimamente, sembra non esserci confine tra quel terribile fenomeno che chiamano “mafia” ed il suo contraltare, la cosiddetta“antimafia”. La criminalità delle campagne, del territorio che uccide non esiste quasi più. Sì, c'è una delinquenza spicciola, forse maggiore, scagnozzi che domandano sempre il pizzo, ma quella organizzazione così radicata sembra avere ceduto il passo. Soprattutto per merito dei gesti eroici di persone perbene che si sono ribellate. Mi ricordo di un certo Don Pino che toglieva i bimbi dalla strada, di un certo Libero che mai avrebbe dato soldi agli esattori...tutti sempre in prima linea, soli, e poi quelli che, dopo, solo dopo, pronti a celebrarli, a portare avanti finte eucarestie!

Quella che chiamano “antimafia” appare sempre più confusa, brand, carrierismo, un posto al sole, e mischiatasi in situazioni a dir poco disdicevoli. Unta di discrezionalità, impasti ed amicizie varie. Sembra esserci una cortina di fumo che attanaglia quella voglia reale di cambiamento... che parte soprattutto e sempre dal basso...

ECOMULO : Caro Bue, penso certe volte che la nostra terra sia irredimibile, io avevo un padrone che mi raccontava tante cose, ricordo soprattutto quando mi disse una frase: “le cose cambiano per non cambiare” . E capii dopo che si riferiva a tutto questo, alla nostra bedda Sicilia. Ora appare davvero così, magari mi sbaglio ma quando qualcosa sembra cambiare, dopo gli arresti, dopo i sequestri dei beni mafiosi, dopo aver individuato i flussi di denaro, secondo il grande intuito di Giovanni Falcone, arrivano i professionisti, i “colletti bianchi” li chiamano, i figli dei padri, gli amici, succede che cala un silenzio, e tutto piomba nell'abisso, ad uno stadio di stasi...

Adesso il nuovo “caso Palermo”, ho sentito che la Procura di Caltanissetta ha aperto una indagine su tre giudici del tribunale di Palermo - Silvana Saguto (che era presidente della sezione sulle misure di prevenzione), Lorenzo Chiaromonte e Tommaso Virga, già consigliere del Csm - e il pm della Dda Dario Scaletta e su alcuni amministratori di beni. Una cosa molto triste...

BUE : I piccioli sono la rovina dell'uomo e spesso anche il bene diventa male. Le consulenze d'oro, le tavole apparecchiate. Anche al Csm è stato già aperto un fascicolo in Prima Commissione, competente su eventuali trasferimenti d'ufficio per incompatibilità. E il procuratore generale della Cassazione, Pasquale Ciccolo, ha avviato accertamenti preliminari sull'indagine della procura di Caltanissetta . Walter Virga, figlio di uno dei magistrati indagati, ha lasciato l'amministrazione giudiziaria di Rappa e Bagagli. Un terremoto insomma, solo all'inizio, che successivamente ci dirà forse chi sono i veri colpevoli...

ECOMULO: Come sempre c'è voluto una martellamento di alcuni (pochi) mezzi di informazione.
Le Iene di Italia 1 e Pino Maniaci con la sua redazione di TeleJato, una piccola televisione con sede a Partinico. Pensa, un Tribunale, quello di Palermo, che dovrebbe gestire il 43 per cento dei beni sequestrati e confiscati ai mafiosi. Non esiste ad esempio un albo degli amministratori giudiziari, che pure dovrebbe esistere, come dice la legge del 2010 (DECRETO LEGISLATIVO 4 febbraio 2010, n. 14 e successive modifiche) e tutto viene deciso dal presidente dell’ufficio delle misure di prevenzione e dei suoi sostituti, e pure le ricche parcelle... Mancano le regole nel luogo delle regole, tutto in maniera discrezionale …

BUE: amico mio, ti vedo informato, pensa, ci sono dei beni societari che da più di 15 anni sono gestiti da avvocati, non c'è trasparenza mancando l'albo, gente che non ha la visione e le competenze imprenditoriali adeguate, e spesso sono gli stessi; tante, troppe le figure istituzionali coinvolte... E poi, non si comprende quanto negativo sia il messaggio che passa: proprietà e aziende sequestrate ai mafiosi molto floride ed attive che, dopo alcuni anni, nelle mani di questi amministratori, falliscono e vanno in malora...una terra senza speranza fin quando non ci sarà un cambiamento che parta e decida dal basso e finché il fumo non sarà del tutto sparito. Adesso devo andare in stalla, ci sono altre storie che vorrei raccontarti, ma facciamo la prossima volta.

ECOMULO: ciao bue, ti lascio anche io, volevo solo ricordare cosa diceva Cicerone :

“nullum enim est tempus quod iustitia vacare debeat” (non vi è nessuna circostanza nella quale non si debba operare secondo giustizia. Cicerone I, 62)

venerdì 28 agosto 2015

La vacca cinisara, l'oro nero delle montagne di Sicilia!





Ho ancora nella mente il ricordo di vecchi vaccari cinisari, che in giovane età mi narravano come in epoca spagnola alcune navi portassero a bordo tori e vacche, per organizzare delle corride in Sicilia

Fu in quegli anni che una di queste navi fece naufragio nel mare antistante Punta Raisi (Cinisi) e tutti gli animali sopravvissuti al naufragio, trovando una zona arida e battuta dai venti di scirocco, iniziarono a vagare alla ricerca di pascoli arrampicandosi sulle montagne circostanti.

Nel tempo quegli stessi animali modificarono le loro caratteristiche in relazione all’ambiente diventando formidabili arrampicatori e diffondendo la loro razza sui monti intorno Palermo.

Giovane toro cinisaro detto "Ienco"
Foto cortesia Allevamento Bellardita (Motta D'Affermo)

Le vacche di razza cinisara sono considerate di alta produttività in base al pascolo a loro disposizione. Il famoso detto che infatti, sentivo sempre da ragazzo era ”A cinisara licca a petra e fa u latte”. 

Fino a trentanni fa circa, era facile imbattersi in allevatori che la sera mungevano la vacca ed il giorno seguente distribuivano porta a porta il latte imbottigliato in vetro (u lattaru).

Questo latte, di pure vacche di razza cinisara, è stato poi utilizzato per la produzione di caciocavallo palermitano “scalone palermitano di cinisara”, un formaggio ricco di profumi e dai sapori intensi, di grande versatilità, buonissimo fresco ed ancor più stagionato, che può essere grattugiato , grigliato o preparato “all’argentiera".  

Il suo sapore gustoso e deciso è tale, poiché le vacche vengono nutrite di fico d'india, erba trifoglio tagliata a mano sotto quelli che erano numerosi ed ormai rari limoneti ed aranceti cinisari, che purtroppo, a causa del selvaggio abusivismo edilizio sono stati condannati ad una triste scomparsa. Alla sera invece, venivano lasciate in pascoli molto poveri dalle erbe miste.

Sapore diverso si ottiene, invece, dalle cinesare libere al pascolo nell'entroterra siculo, con erba di sulla ed altre erbe abbondanti e nutritive. 

Tipico caciocavallo cinisaro
Foto dal web


Dagli anni '60 ad ora il selvaggio import di bovini francesi, inglesi, slovacchi e polacchi, hanno fatto in modo di inquinare la purezza della cinisara portando malattie letali come la Brucellosi (che causa mastite bovina, aborti ed è accidentalmente trasmissibile all'uomo sotto forma di stati febbrili) o la Bluetongue (malattia infettiva contagiosa, che deriva dalla cianosi della mucosa linguale degli animali colpiti, causando anche necrosi delle parti colpite).

Oggi invece di allevamenti a Cinisi ne sono rimasti pochi, a causa della cattiva condotta da parte di tutti i sindaci e assessori dalle false promesse, che Cinisi ha avuto negli ultimi trent'anni, riducendo la vacca cinisara ancora purtroppo a causa dell'abusivismo edilizio, a poche stalle. Eppure ancora oggi quelle stalle sono molto rinomate in tutta la Sicilia, conosciute dagli allevatori come luogo d'acquisto di capi di bestiame in purezza.

Vacche cinisare da latte allo stato brado
Foto cortesia Allevamento Bellardita (Motta D'Affermo)


Una cosa che tutt'oggi mi lascia basito, che frequentando le stalle cinisare per tanti anni, ho capito che ogni mandria (stadduni) presentava tratti comuni che evidenziavano l'appartenenza al gruppo.  Da ragazzi, quando si andava in montagna (Piano Margi, Contrada Cipollazzo o nelle varie "coste") e si incrociava un vitello allo stato brado, era possibile riconoscerne la stalla di appartenenza. 

Non possiamo che dire che la vacca cinisara è uno dei migliori bovini per piccoli allevamenti, agriturismi, fattorie didattiche, per poter promuovere sapori, colori, odori autentici della nostra amata Sicilia

Vitellina di razza cinisara
Foto cortesia Allevamento Bellardita (Motta D'Affermo)