venerdì 13 novembre 2015

Riscoprendo i cavalli di Persano

Carlo di Borbone su esemplare Persano
Fu il giorno in cui un provvedimento ministeriale decise di troncare la Storia: il 30 settembre 1972. I cancelli del Centro di Allevamento e Rifornimento Quadrupedi di Persano si aprirono per lasciar andare via per sempre 246 esemplari della «Real Razza»: l’imperioso cavallo dall’elegante profilo voluto nel XVIII secolo dal Re Carlo di Borbone.

Lì collocato e lasciato in eredità ai ministri dell’Unità d’Italia. Fino a quando, appunto, a Roma si decise che la razza del cavallo di Persano non poteva più rimanere nel luogo dov’era nata. In una nota del 1971, il ministro della Difesa Mario Tanassi fa sapere all’onorevole Fiorentino Sullo, interessatosi della vicenda, che è necessario «riordinare il Servizio in maniera più funzionale ed economica». E così puledri, fattrici e stalloni furono caricati e portati al Centro di Grosseto. A nulla valsero le perplessità dei butteri che ipotizzavano «l’estinzione della razza che mal avrebbe sopportato il clima della Maremma Toscana». Andarono via i cavalli e poco dopo arrivarono i mezzi blindati. Si girava pagina.

Oggi a Persano si è costituita un’associazione culturale con 150 soci. Si chiama «Persano nel Cuore». Ne è presidente Antonino Gallotta, storico, originario di Persano con un padre «capo razza» e una sfilza d’antenati che per anni hanno occupato i registri del personale. Dopo studi e pubblicazioni, Gallotta ha lanciato la proposta di riprendere il filo spezzato nel 1972 e ricongiungerlo al progetto di un ritorno del borbonico cavallo lungo le sponde del Sele. Tra i sostenitori dell’idea c’è anche il principe Alduino Ventimiglia Lascaris di Monteforte, nobile siciliano, che negli ultimi trent’anni si è battuto affinché la razza non andasse perduta. Aveva solo dieci anni quando a Catania incontrò il primo cavallo Persano. Si chiamava Ulesto. Fu allora che impresse nella sua mente «l’occhio che racchiude la cultura del Sud», poi ritrovato quando, giovane di leva, fu spedito al Centro Allevamento di Grosseto. Erano gli anni ’80.

Principe Alduino Ventimiglia Lascaris di Monteforte

Ventimiglia, laureando in Agraria, si accorse che «si stava perdendo la razza Persano per i continui incroci con i p.s.i. cioè i purosangue inglesi ». C’era però una carta da giocare: ottenere uno stallone nato a Persano e vissuto a Catania chiamato Pascià. «Era l’ultima possibilità », racconta Ventimiglia, «fu messo all'asta e riuscii a portarlo via». Grazie a Pascià e alle fattrici riformate precedentemente acquistate, nascono 3 puledri. Uno conquista lo status di stallone. Ventimiglia vede arrivare il riconoscimento civile della razza, sulla Gazzetta Ufficiale, solo nel 2003. Il primo certificato nel novembre 2008. Oggi il principe possiede circa 70 esemplari della Real Razza di Persano nelle sue tenute in Sicilia e Toscana.

Ma perché questo pregevole cavallo di perfetto equilibrio mentale porta il nome di questa località? Bisogna tornare alla metà del Settecento e alla figura di Carlo di Borbone, poi Carlo III in Spagna, che un bel giorno s’innamora della tenuta di Persano e la trasforma presto in Sito Reale, dove la corte borbonica si ritira per le battute di caccia. Il re fece costruire dall’ingegnere Juan Domingo Piana la Casina reale, successivamente ritoccata dal Vanvitelli: un edificio quadrangolare, con una cappella dedicata alla Madonna delle Grazie arricchita di quadri della scuola di Posillipo. Quando, dopo la firma del Trattato di Pace e di Commercio con l’Impero Ottomano, ricevette dall’ambasciatore turco El Haji Hussein Effendi, in visita a Napoli, 4 stalloni orientali, re Carlo pensò d’incrociarli con esemplari locali di derivazione orientale. Era il 1741. «La razza però», dice Ventimiglia, «si fissò intorno al 1770 con l’introduzione di cavalli berberi spagnoli». Il re disboscò e costruì alloggi e scuderie: fu così che Persano, insieme a Carditello in provincia di Caserta e a Ficuzza in Sicilia, divenne centro d’allevamento del cavallo elegante e snello, orgoglio borbonico, impresso nelle tele oggi custodite nel Museo di Capodimonte. Fino al 1860, quando dopo la sconfitta militare dei Borbone la gestione passò al Ministero della Guerra. Nel 1874, però, un decreto del ministro Ricotti stabilì la soppressione della razza. Tutti i cavalli furono venduti. La svolta si ha il 14 novembre 1900, quando il governo decreta la «ricostruzione della razza».

Persano nel ’900 è il fulcro economico del territorio: vi convergono maestranze locali, giumentari, butteri, domatori, sellai. La struttura militare si avvale infatti anche di manodopera civile. Nel villaggio, su circa 3500 ettari, vivono 200 famiglie. Una realtà agricola che ruota intorno al cavallo e che dà lavoro a centinaia di persone provenienti anche dai comuni vicini: Altavilla Silentina, Eboli, Serre.

Si lavora nel grande capannone dell’Umberto I, nel complesso degli Angelini, luogo di quarantena per i puledri, nella scuderia delle carrozze, nell’alloggiamento Mena Nova, nel maneggio Solferino, nell’area dello Scanno dove nella stagione di monta venivano condotti anche gli stalloni del deposito di Santa Maria Capua Vetere. Nel libro "Persano, viaggio della memoria tra butteri e cavalli", Antonino Gallotta cita anche la famosa transumanza del giugno 1952, quando tutti i cavalli affrontarono 110 km per raggiungere l’altopiano di Mandrano dopo una sosta nei pressi della Certosa di Padula.

Poi, di colpo, lo sradicamento e il viaggio verso Grosseto. Nei giorni scorsi, al Country Club di Persano, si è tenuto un incontro su «Cavallo Persano, ritorno alle origini». «Vogliamo che questo territorio», dice il presidente Antonio Miniaci, «riacquisti il bagaglio culturale legato ai cavalli» . Al dibattito hanno partecipato anche Antonio Canu, direttore delle Oasi del WWF e lo storico Gallotta. «Abbiamo dato la nostra disponibilità», dice Canu, «a partecipare a un programma che recuperi un patrimonio importante e straordinario del territorio. Del resto l’Oasi è parte del territorio storico che ha ospitato questo animale. Quando parliamo di biodiversità intendiamo anche quella genetica e in questo caso di una razza tra l’altro a rischio di estinzione ». Quali sono le condizioni perché questa razza ritorni a Persano? «Serve una struttura minima di accoglienza», dice Ventimiglia, «e uomini specializzati nella cura del cavallo di Persano». Di qui l’idea di istituire dei corsi per i giovani. Non ultimo e non meno importante, «un sostegno economico delle istituzioni ».

(fonte Corriere del Mezzogiorno articolo di Stefania Marino)

venerdì 6 novembre 2015

Un pensiero a chi nel cuore ha ancor viva la speranza.



Lo dedico a Voi, amici miei, a voi che siete andati via, a voi che da Londra, da Berlino, dal Canada e dalla nuova terra, cervelli in fuga, col cuore in mano, state ancora a sperare.

In questi momenti di scoramento, di povertà, di rassegnazione, di abbandono, di pessimismo, di illusione, di futuro rubato, di corruzione, di irresponsabilità, di appartenenza, di ombre, c’è certamente una forte sensazione di impotenza ed una grande voglia di andare e non tornare più.

Numerosi lo hanno già fatto, come gli anni ‘60, giovani e meritevoli speranze di questo vecchio Paese sempre più barbaro, coscienze libere e senza alcuna piega, via, lontane da questa Nazione.

Il “male” avanza in silenzio, ha preso il controllo, si è incuneato fin dentro le insenature più profonde della Democrazia, difficile sconfiggerlo, non c’è stata la capacità di capire, di mettersi insieme, di sopraffarlo, di comprenderne i movimenti, cosa stesse accadendo, di prendersi quello che di diritto e per meritocrazia spettava, si è vissuto di rendita ed illusione per anni, disinteressandosi, edulcorati, mentre veniva creata e cresciuta la flessibilità, il precariato, la loro giusta causa, la solitudine.

Il futuro è lontano. Si vive l’immediato giornaliero, il triste contingente. Le regole, la quasi normalità, hanno ceduto il posto allo straordinario, all’emergenza, all’eccezionale, alle rivoluzioni. Proclami che si susseguono oramai da tempo, doveri ed etica sempre richiesti/pretesi per i tanti, sempre più privi e poveri, mentre le eccezioni, le prebende, i titoli, le umane attenzioni, il lavoro, le innumerevoli ricchezze ed occasioni ai pochi, su.

Ed una classe media che viene spogliata e distrutta, fino a diventare povera. Venendo meno, come drastica conseguenza, quel collante sociale caratteristico di una Italia che in parte funzionava, che solidarizzava, che si aiutava nelle mille difficoltà.

Nell’ultimo ventennio qualcosa ha distrutto l’efficacia delle lotte e delle tante conquiste, raggiunte anche con il sacrifico della vita, tanti oramai i sottomessi alle libertà di pochi, qualcosa di sottile ha ridimensionato la possibilità di emergere ed ergersi di un’intera classe e di raggiungere posizioni superiori, annullandola, e persino forse rendendo inutili le emigrazione ed i martiri dei nostri cari.

E’ anche per loro, per quello che avevamo e ci siamo fatti togliere, per le lotte e le conquiste decennali, per la storia, per le nostre radici, per quel futuro che non si vede, per quella luce lontana, che forse un giorno sarà necessario il “ritorno", “la verità”, "la liberazione” di questa Terra.

E’ quindi maggiormente necessario avere fiducia, non cedere alla rassegnazione, sconfiggere l’indifferenza, scendere tra la gente, ridare la speranza, distrarre le masse dal male, senza farsi tirare dentro, scacciando la deriva del nulla, spogliarsi dell’effimero e dell’inutile “non serve a nulla”, dei freni celati e degli "ormai è tardi".

Obbligo morale è "lottare dritto", preservare, far conoscere, e ricordare, è maggiormente necessario essere ottimisti, creare collettivo e relazione, uscire dal network sociale, continuare a sognare lungo la linea dell’assurdo, cercare, moltiplicandoci, di abbattere la sicurezza e la stabilità dei pochi, ridistribuire, liberare, sciogliere, rendere liquida a nostro modo la società, e mandar via lo scoramento.



martedì 3 novembre 2015

TERRA A MORIRE

Il cemento, le frane, le inondazioni, le piogge, la modernità, le lobby, la morte in ogni famiglia...


Ti guardi attorno e capisci che c'è qualcosa che non va. Il cemento ovunque, costruzioni senza crisma, che prevaricano l'altro, le regole della convivenza, quelle basilari della Natura, annientate. Colate e colate di materiale che, con le piogge, diventano fiumi. Cedimenti improvvisi, strutturali, il territorio che va lentamente giù. L'aria sempre più irrespirabile, le acque più inquinate, il cielo pieno di aeroplani che lasciano disegni inspiegabili. I terreni abbandonati e ridotti a discariche della malavita, quella nuova dei colletti bianchi, e nessun polmone sano nelle nostre città.


Strade e piloni che cedono, le trazzere improvvise che tornano di moda, i collegamenti che non esistono, allarmi meteo che gettano in una psicosi collettiva tutta la popolazione.


Nessun rispetto per il creato, come diceva S. Francesco, un aumento inaccettabile di malattie. Ogni famiglia che presenta un malato di cancro, o lo ha avuto, e a morire in maniera fulminea, anche persone giovani. Si resta senza parole, silenziosi, impotenti. E non c'è bisogno di dati, o della confusione di alcuni che tendono a deviare, per accorgersene.


E non è certamente la carne rossa, non sono gli insaccati, i lavorati, ma una produzione prettamente industriale senza freni, gonfiata a dismisura, senza amore e solo devota al profitto, le grandi lobby a dettare legge e a trasformare tutto in mercato e finanza. 

L’avidità di denaro controlla l’intero sistema socio economico e rovina la società, condanna l’uomo, lo fa diventare schiavo, distrugge la fraternità interumana e spinge popolo contro popolo e minaccia anche questa nostra “casa comune”. 


“E’ un male strutturato - come ha detto Papa Francesco - , il potere è talmente forte subdolo che ci fa perdere anche la sensibilità, che ti fa credere che questa sia la legge che determina tutto, che non ci sia possibilità di cambiamento. I frutti della cupidigia, della struttura di peccato è che portano il contrario della fraternità tra gli uomini, della convivenza civile tra gli uomini e distruggono tutto questo e portano alla globalizzazione dell’indifferenza”.


Nessuna manutenzione, né ordinaria né straordinaria, tutti succubi, la vita che va spegnendosi, gli alberi divelti, come in Puglia, per mere ipotesi di contaminazioni, curabili secondo diversi studiosi, stermini secolari, e la terra, che sempre ci ha dato benessere, amore, ricchezza, sepolta dalle menzogne e dalla cosiddetta modernità.

Si possono tagliare gli alberi, cementificare continuamente, ridurre il suolo, avvelenare i terreni di rifiuti, eternit, scorie, trivellare il mare, avvelenarlo di fogna, uccidere i pesci, fare fuori gli animali, fino a che un giorno la Natura ci presenterà il conto.

Cari Giovani amate la terra, disobbedite, rirtonate alla vita, cari vecchi lasciate che siano loro a prendersi il futuro di questo pianeta e che si ritorni ai valori e ai principi di convivenza pacifica e ai valori di Umanità. Smettano le armi, smettano le guerre, smetta il Demonio a comandare!